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Nell'Universo Segnale disturbato Buon Viaggio Folle Falling down 03/12/2011 Ed infine cosa resta di me Anatema cortese inveito a un prepotente Il gatto che si morde la coda Fuori sincrono Avverse condizioni climatiche Aulici gesti mattutini Solitamente Doni materni Non ci sono più le mezze stagioni Parole Paure Il senso Fermata facoltativa Intimo oblio Inno agli antipatici Migrante In volo Controcorrente Musa Il filo del discorso Legame Buonanotte Il sadico piacere della consapevolezza Attimo di confusione AFORISMI
Segnale disturbato
​
Non sento:
Il fruscio dei miei sogni controvento,
la voglia di me stesso in ogni stento,
la grammatica dei verbi con l’accento.
Non sento.
Sento:
quell’ultimo barlume che s’è spento,
le voglie radicate nel cemento,
lo scorrere del tempo troppo lento.
Sento.
Fossi apatico ci sguazzerei in quest’asfissia.
La consapevolezza invece mi corrode,
ruggine nutrice di entropia,
mina sulle fondamenta di un corpo che implode.
03/12/2011
Ho assaggiato il cielo con un dito,
Riposato in un verso l’infinito,
Guarnito la mia rabbia al cioccolato,
schernito la bellezza, spaventato,
legando l’emozione in due parole
salvo accorgermi non essere le sole
al cospetto di una tremula follia:
vivo di te, che torni sempre in ogni adesso,
e in ogni fremito di luce, ogni riflesso,
sei sorprendentemente ancora mia.
Anatema cortese inveito a un prepotente
Annegato nel puzzo della tua furia
posseduto dal tuo essere cattivo
accecato dal tuo super ego
vanaglorioso e altezzoso
crogiolante nell’esaltazione
della tua immensa grandezza
farnetichi soluzioni drastiche
e risolutive a tal punto da prevedere
l’annientamento di qualsiasi cosa
o persona che non sia te, di te, da te, per te.
Esercita dunque la tua potenza distruttiva,
goditi il tuo orgasmo di soddisfazione,
disseta la tua fame di superiorità assoluta
e nuota nella disfatta che hai generato.
Poi guardati intorno e scopriti solo,
in una moltitudine di cose e pensieri
e persone
e colori e profumi:
scopriti tristemente solo,
minuscolo, il più infimo prodotto del
lato perverso della natura.
​
Nell'Universo
Sono
sasso incavato dalle gocce del tempo
schiavo di un gioco perverso ed empio
Solo
​
Folle
Folle,
folle.
Folle di pensieri picconano le pareti cerebrali
alla ricerca di gemme rare di saggezza
di qualcosa per cui valga la pena la follia
Sulla discesa verso il mio istinto
ho disinnescato tutte le marce:
cercando lo schianto col mio destino
vado a folle.
Folle,
folle follia,
che per non annegarci dentro
dovrei assecondarla a piccole dosi
e invece sono qui a strozzarla
stringendo i lacci del dovere morale.
Buffo:
a morire follemente da eroe
sbandierando il vessillo del normale sopravvivere
non c’è bisogno nemmeno d’esser folle.
E se provassi a vivere sarebbero alti
i mille indici puntati,
e taglienti gli sguardi saccenti e sprezzanti
a darmi commiserevolmente del folle.
Sono già morto, e nessuno se n’è accorto.
Ma questa surreale consapevolezza
sta martoriando il mio corpo morto,
privo di un cuore estirpato con violenza.
Nello squarcio sanguinante che attraversa il petto
piovono sputi e insulti dei miei persi sensi,
e i sogni, i miei sogni,
non mi degnano nemmeno di uno sguardo.
Non una preghiera sui miei resti,
fosse anche una preghiera pagana.
A coprire le mie carni nude, non delle vesti,
ma un nugolo di mosche fameliche,
volteggianti e avide in una sgraziata danza,
alquanto folle.
Sono già morto, e nessuno se n’è accorto.
Buon viaggio
Si succedono, discontinuamente,
alterni a interminabili pause emotive,
irrefrenabili spasmi d’anima
tendenti all’eccitazione sublime dell’ego,
all’esaltazione compiaciuta del tutto interiore,
alieno al niente che riempie il dintorno fuori.
E dirompe l’angoscia cercando invano
Di collocare i miei battiti fuori sincrono
In un’armonica ripetizione
Della partitura anonima di un’orchestra di occhi
Fissi nel buio straripante di sogni a colori.
Vado via,
vado,
vago.
Falling down
Aggrovigliato nella rete dei perché
Ho profanato la sacralità dell’anima
Squarciandola con mille adunchi se
In un’alquanto vana ed improbabile disamina
Non succhierò più dagli occhi tuoi densi
Energia per il mio abulico bisogno di te.
Non sono più quello puro, assoluto e terso
Sono solo un uomo senza il suo perché
Che esegue, improvvisando, un buffo canone inverso
Ed infine cosa resta di me
Barcollo, mi slaccio,
disfaccio e riaccollo
frantumi di ego.
Dell’eco dei fumi
Dei giorni bruciati,
sfumati i contorni,
mi restano gli occhi:
due tocchi di ebano
in volto segnato.
Seminato, ho colto
Il gatto che si morde la coda
Lo specchio incrinato nelle stanze dell’iride
riflette l’immagine informe dei giorni sepolti
la cui memoria mastico, avaro
di quel sapore nostalgico, amaro.
E’ il tempo che ha vinto:
inganno che fugge proprio
quando t’illudi di poterlo conservare
nella tasca destra, quella stretta, dei jeans.
T’illudi, t’inganna,
e se non t’inganna ti sbatte
violentemente in faccia
le ante dell’istinto,
custode dell’ancestrale piacere d’illudersi.
Fuori sincrono
L’aria m’è indigesta
ingoiando bocconi d’inerzia.
Sale un rigurgito di tedio
che vomito sui miei piedi
ancorati
su una terra liquida
come la voglia di sentirmi
parte della scena nella foto del presente,
già passato da troppo tempo
perché il mio respiro stanco
potesse coglierne il senso.
Solitamente
Figuro mondi virtuosi
nei lassi di vita sragionata
accompagnando lo sguardo
oltre orizzonti empirici
per vezzo, o per noia.
Non ci sono più le mezze stagioni
Riuscissi a sentirne
il rumore
cadendo una foglia
dall'albero delle mie emozioni
in questo autunno di mediocre ipocrisia,
non sarebbe vano quel volo d'anima
e non avrei davanti
un solo lungo inverno.
Parole
Parole
dette e mai capite
nei giorni di un tempo trascorso surreale,
dei sorrisi grandi come il pianto che occultavano.
Pronunciate nel silenzio
di mille pensieri in ressa frenetica
intenti a calpestarsi
mordendo l’anima nel punto più debole,
parole
tra albe e tramonti
nelle notti abbagliate da buie inquietudini,
riscaldate solo da fredde carezze
nel gelo di un’apatica condizione.
Parole d’amore
urlate ora nei tuoi occhi,
sussurrate alle tue labbra,
posate delicatamente sul tuo respiro,
le sole che puoi ascoltare
tra quelle che non hanno voce.
Fermata facoltativa
Attendo:
un pensiero, un’intuizione,
qualcosa che venga a squassare
l’immobile equilibrio degli eventi ricorrenti
nei giorni in perpetua successione,
nelle notti in lancinante processione
al canto di una nenia
in coda al feretro del mio entusiasmo.
Attendo.
E non l’attesa,
il suo oggetto inconscio mi logora.
Migrante
Stringo in pugno
la terra calpestata
che andando raccolsi per me
e i ricordi
delle foglie dicrome d’ulivo,
folte sui rami
contorti
quanto le vie dei miei sogni
a disegnare l’incertezza del poi
radicata
nella liquida inesorabilità
del mare all’orizzonte di ogni ora.
Tornerò a te,
domani,
mollerò la stretta,
per restituirti la terra sottratta,
fertile dei ricordi
coltivati in lontananza.
Buonanotte
S’è addormentato un altro giorno
sotto le tue palpebre
a nascondere occhi ridenti
in dispetto al buio da cui ti osservo.
Ti rimbocco i sogni,
per mantenere calda
quell’ inconscia,
spontanea certezza
di poter osservare il mondo
girare in equilibrio
sulla punta del tuo naso.
E ti lascio un tocco di labbra sulla fronte
prima di entrare nella mia notte,
che al risveglio sarai ancora il mio bambino,
metafisica espressione
della felicità d’esserti padre.
Avverse condizioni climatiche
S’è coricata
nell’alveo di un fiume di memorie
secco, inaridito
dall’inconsistenza di precipitazioni emotive,
l’eccitazione del domani,
in attesa
che crolli a monte
la diga abusiva di perplessità
edificata dalla quotidiana convenienza,
con la colpevole omissione di denuncia
di un animo pigro.
Se solo spirassi, vento del nord…
Doni materni
Ho strappato ai miei ricordi bambini
i tuoi occhi, muti di discrezione,
gonfi di parole nella commozione
simbiotica al mio batter d’anima
Avidamente ho nascosto
i tuoi sorrisi più dolci,
preservandoli dalla contaminazione
della quotidiana frenesia,
salvo sfogliarli in segreto
per trarne pace.
Le tue carezze, bianche,
hanno solcato la pelle del miocardio
in cui scorre ora un rivo di coraggio,
nella giusta dose,
necessaria a sopravvivere alle mie paure.
Prima attrice, sei rimasta spettatrice,
protagonista tuttavia
nel mio inconscio approcciarmi,
assaggiando io la vita.
Aulici gesti mattutini
Sulla punta sfilacciata del laccio
della scarpa sinistra da riannodare;
nelle briciole di dolce avanzate
sul vassoio incrinato che con le mani
ha raccolto a sfamare
il suo goloso desiderio;
nei disegni immaginati
tra le venature irregolari del marmo
calpestato con incuranza fino a ieri;
nell’istante in cui il sorriso sul tuo volto
s’è dissolto;
nell’istante in cui cessate le lacrime
s’è abbandonata la piccola
in un abbraccio fiducioso;
nel rigetto alle notizie inutili in coda al tg
e nel rigetto alle notizie utili
egualmente inutili in testa al tg;
in due righe lette per caso
sulla carta di cioccolatino
raccolta per cestinarla;
in quel pensiero preoccupato
che m’ha stonato la notte
e continua a sibilare
fastidioso nell’orecchio;
In questi aulici gesti
ho trovato il senso alla mia vita,
stamattina.
Quale sarà tra qualche ora
si vedrà.
Paure
Non fuggo il silenzio:
è nel silenzio che ascolto
il suono afono dei miei sensi.
Non temo il buio della notte:
è nella notte che la luce dell’inconscio
mi abbaglia gli occhi serrati sui dubbi.
Non dispero,
per le temporanee assenze dalla serenità:
è nella bruttezza di queste
che trae ragione e senso
la gioia di ritrovarla.
Fuggo il rumore dei gesti quotidiani,
temo lo scintillio effimero
dei sorrisi di circostanza,
dispero per la serenità
presunta nell’altro
che di suo quasi l’ostenta,
per contegno.
Il Senso
Scrosciano gocce di tristezza
e l’alito, tiepidamente,
sudicio
del fetore dei fantasmi di una precaria condizione,
ha appannato le finestre dell’ anima,
scrutando io, al di la di quelle,
un mondo che non muterà mai
almeno quanto la mia rabbiosa voglia che muti,
attanagliata
nel punto più fragile dell’essere,
dove gesti e parole diventano taglienti
come fogli di carta che strisciano
sulla carne tenera del miocardio.
Ma non credo così di morire:
non ho più voglia di chiudere gli occhi
sui dettagli, su ciò che mi sta attorno.
Resteranno aperti ,
sulla vita che mi morde lo stomaco,
sulla vita che non sempre grida vita,
sulla vita nei tuoi occhi,
e sugli impercettibili vitali
spostamenti d’aria
che il tuo respiro muove intorno a me.
Intimo oblio
Ho perso le tracce dell’illuso che ero
rincorrendo i vagheggi del deluso che sono.
Confuso.
In volo
Dispiegherai le tue speranze
per spiccare la vita,
andrai incontro alle turbolenze della mente
sobbalzando tra le tue paure
nei lunghi vuoti d’anima.
Poi lasciando la perturbazione dei sensi
planerai sulle emozioni
per atterrare nell’abbraccio dell’amore:
sarai donna allora,
bambina mia
Musa
E se anche del tuo piede sinistro
L’alluce incallito mi concedessi,
Di pensieri d’amore
Brulicherebbe la mia penna
Legame
Padre,
tendo ancora la mano
fiduciosa
a cercare la tua,
onnipotente,
quando è notte
e al dormire
dell’uomo turbato che ora appaio
veglia l’anima bambina
dai cui bevevi semplicità
nei tuoi giorni complicati.
Attimo di confusione
Folle pensiero,
tormento ossessivo,
perpetuo rincorrere stimoli tediosi:
“non voglio”,
volendo lo voglio,
pur rifiutando, rifiuto il rifiuto.
Gioco sadico di sensi sospesi,
celate silenziose confessioni,
fruscianti,
sibilate appena nella foresta
di vacue parole
citate, recitate, ricitate.
Di pelle e d'impulso lanciato,
repulso da morsi
di brandelli d'umore,
frenato da rimorsi
di fardelli d'amore:
rodo, mi rodo
godo e mi corrodo,
cercando l'inesistente,
vedendo l'invisibile,
toccando l'impalpabile.
Inno agli antipatici
Occhi finti di falso dipinti,
mani ferme di menti rafferme,
blandi sorrisi di squallido intrisi,
volti stolti, distolti e sepolti
nell’idea mediocre e indegna d’uomo
che inghiotte quel poco rimasto di buono,
celato, negato, piegato, stentato,
morto nell’essere stereotipato:
so chi sono ma non so chi siete,
so che sono sapendo che non siete,
sto dove sto, restate dove siete!
Controcorrente
Scorrono giudizi e pregiudizi
in questo fiume di parole in piena
e gli argini della nostra ingenuità
crollano pressati dagli indici puntati.
E noi gocce,
a risalire la corrente,
arrancando tra la gente intente.
Il filo del discorso
Mi stupisce ogni giorno
il miserabile tentativo di infilare
l’idea di felicità nella cruna della vita
non per l’improbità dell’atto,
quanto per l’ostracismo congenito
al torbido,
prima porzione della stessa
da infilare per passarla tutta.
Il sadico piacere della consapevolezza
Fremono indomiti sospiri
sopiti nel cronico scorrere
di attimi replicati allo spasimo.
Crollano,
deboli,
gli argini del mutevole
pressati da silenzi roboanti di niente,
dissolti nel vacuo di mille parole.
Soffrire godendo di morale normalità
o godere soffrendo d’immorale unicità?
Aforismi
Il maggior pregio che si possa vantare è la consapevolezza dei propri difetti
Non è il numero di eventi positivi e negativi a determinare una vita migliore o peggiore ma il modo con cui scegliamo di affrontarli.
La paranoica ricerca della felicità ci inibisce il sentirla
La guerra è il più grande esercizio di stupidità perpetrato dall’umanità contro l’umanità: ciò che la rende tragica, oltre che grottesca, è l’enorme dispendio di intelletto per assecondarla piuttosto che evitarla.
Diffido dalle verità assolute in quanto potrebbero essere falsità non ancora rivelate.
Nella vita puoi scegliere di appartenere o di appartenerti, ma solo nel secondo caso ti apparterrà anche la vita.
Indosso scarpe scomode per ricordare che non esistono strade facili, quando ne imbocco una che appare tale.
Puoi apparire essendo ma non potrai mai essere apparendo.
Ricordatemi che consumo perché esisto e non esisto perché consumo, ma soprattutto non sono quel che consumo.
Le emozioni più forti sono in genere solubili: basta una lacrima per scioglierle in un pianto.
Il paradosso della politica è che non governa chi ha le idee più utili per la comunità ma chi sa meglio far passare per tali le idee più utili per se stesso.
La realtà è tale perché prima è stata immaginata quindi non toglietemi mai la libertà di immaginare una realtà migliore.
L’uomo moderno è così pigro da non avere la forza di pensare a ciò che è bene per lui e si accontenta di ciò che qualcun altro, antemettendo il proprio interesse, ha pensato al suo posto.
Mi fido del passato, l’ho già vissuto.
Ho speranza nel futuro, posso sognarlo.
Solo m’inquieta il presente: non è ancora passato da potermi fidare né ho più tempo per poterlo sognare.
Il tempo necessario a risolvere una situazione complicata è inversamente proporzionale a quello occorso per crearla
Nella peggiore delle ipotesi se c’è una possibilità che le cose cambino in meglio non sprecare tempo a compiangerti.
Spesso in seguito a una scelta scontata si è rilevata più saggia l’ipotesi scartata.
Il segreto per la felicità è accettare la tristezza come stato altrettanto naturale.
E’ tanto complicato semplificarsi la vita quanto semplice complicarsela.
​
Ciò che vedi ad occhi chiusi non potrai mai vederlo ad occhi aperti